Il mondo della consulenza da tempo sta cercando di battere strade innovative. Non ci sono ancora modelli consolidati, modelli che si può dire con certezza che siano vincenti nel futuro, ma certo l’esempio della consulenza asset-based è già ampiamente praticato e presente anche nel nostro mercato. Ci sono poi in grande sviluppo le contaminazioni con altre figure professionali, dai commercialisti, ai fornitori di tecnologie, oltre a nuove modalità di erogazione/tipologia del servizio e vicinanza al cliente, consentite dalle nuove tecnologie; insomma, una trasformazione è già in atto. Ma la vera sfida sarà la capacità di portare la consulenza verso le PMI. Questo vuol dire arrivare a costruire un’offerta che colga concretamente gli specifici bisogni delle PMI e riesca a fornire loro un servizio di qualità per tempi, contenuti e costi. Non facile, ma necessario.
Premessa
Dalla consulenza organizzativa si attendono sia lo studio e l’introduzione di innovazioni efficaci, sia la crescita professionale delle persone che operano nel sistema su cui si interviene. Occorre trasferire la cultura di base necessaria per garantire non solo il mantenimento dei risultati acquisiti, ma anche la capacità di produrre autonomamente ulteriori sviluppi.
Quando ci si riferisce al vertice delle aziende o degli enti, si pensa a persone dotate insieme di leadership e di talento organizzativo, competenti, creative, determinate e coraggiose. I capi rappresentano il motore del sistema e queste doti sono senza dubbio indispensabili. Ma per il resto si può ben sopperire mediante un’opportuna scelta di collaboratori interni o esterni. Conviene che il leader deleghi a questi il compito di studiare il miglioramento del sistema organizzativo e del modo di lavorare per la sua realizzazione.
Se, poi, si intende innovare entrando su un terreno lontano dal proprio core business, vale senz’altro la pena chiamare in causa dei professionisti che l’abbiano già battuto e che, quindi, dispongano del livello di specializzazione necessario. Quindi, i consulenti sono chiamati a fare dei lavori per i quali il cliente non ha il tempo o la competenza necessaria.
Lo studio:
- di una strategia centrata sull’innovazione,
- delle opportunità offerte da Industria 4.0,
- dell’acquisizione di mercati esteri,
- del lancio di nuovi prodotti e servizi,
- dell’adozione di un sistema informativo integrato,
- di un metodo di controllo di gestione
è un’attività per la quale non avrebbe gran senso disporre all’interno di competenze specialistiche, a meno che si tratti di megastrutture nelle quali tali attività possono essere routinarie.
Occorre consulenza organizzativa per impostare e fluidificare i processi di progettazione, realizzazione e formazione. Con quest’ultima, si trasferisce al personale interno il know-how, in modo che i risultati conseguiti siano stabilizzati. Si intende con ciò dire che, una volta che i consulenti siano andati via, le strutture aziendali devono potere camminare con le loro gambe e andare avanti, in piena autonomia, lungo il percorso tracciato.
La parola d’ordine è una: introdurre le competenze necessarie per conseguire i risultati programmati, e le strade possibili sono essenzialmente due:
– assumere personale che ne disponga o
– fare outsourcing, chiamando consulenti.
Quando possibile, è da preferire la seconda, che presenta costi variabili e solo apparentemente più elevati.
I TRE MODELLI DI BUSINESS DELLA CONSULENZA
Il modello tradizionale dei pacchetti di soluzioni rischia di essere travolto da altri modelli.
Ecco le principali differenze fra tutti questi:
IL NEGOZIO DI SOLUZIONI
ATTIVITA’ DI PROCESSO A VALORE AGGIUNTO
FACILITAZIONE DI RETI
Strutturato per diagnosticare e risolvere problemi di portata indefinita.
Il valore che offre deriva principalmente dalla capacità di giudizio dei consulenti piuttosto che da un processo ripetibile.
I clienti pagano alte parcelle, in cui vengono distinte le voci dei singoli servizi offerti
Strutturate per risolvere problemi di portata definita tramite processi standardizzati.
Processi di norma ripetibili e controllabili.
I clienti pagano sui risultati
Strutturata per consentire lo scambio di prodotti e servizi.
I clienti pagano la rete, che in cambio paga il fornitore di servizi
Il modello di business della consulenza manageriale
Il modello di business della consulenza manageriale non è cambiato da più di cent’anni a questa parte: da sempre, arrivano dall’esterno persone intelligenti, che entrano nelle organizzazioni per un periodo limitato di tempo e a cui si chiede di raccomandare soluzioni ai problemi più complessi che affliggono i loro clienti.
Dalle società di consulenza fino ai commercialisti, questi si sono evoluti in forme di “negozi di soluzioni”.
Estremamente difficile per i clienti esprimere in anticipo un giudizio sulla performance di un consulente, dal momento che di solito viene assunto sulla base delle conoscenze e delle competenze specialistiche che a loro mancano.
Risulta altrettanto complicato valutare la riuscita di un progetto una volta completato, perché sono molti i fattori esterni che influiscono sull’esito dei consigli forniti dai consulenti (dalla qualità dell’esecuzione ai cambi di gestione, per non parlare del trascorrere del tempo).
Il risultato è che, in questo modo, viene disinnescato uno dei meccanismi essenziali della trasformazione dirompente.
I clienti continuano a fidarsi del brand, della reputazione e della “prova sociale”, che è un insieme di pedigree di istruzione, eloquenza e modo di comportarsi dei professionisti, e che funge da sostituto dei risultati misurabili, dando un vantaggio evidente alle realtà di società di consulenza più consolidate.
Il prezzo viene visto solitamente come una prova della qualità, il che contribuisce a tenere più alte le tariffe delle società più note. Pertanto, nei settori ad elevata opacità, di solito i nuovi competitor (ad esempio, i commercialisti) preferiscono entrare sul mercato imitando i modelli di business di chi vi occupa già una posizione stabile, piuttosto che rovesciandoli.
L’agilità delle maggiori società di consulenza (ossia l’abilità consumata che hanno nel muoversi fluidamente da un grande progetto a un altro) consente loro di rispondere in modo flessibile alle minacce rappresentate da un cambiamento dirompente. Il loro asset principale è il capitale umano, mentre gli investimenti fissi che devono sostenere sono minimi, per cui non sono bloccate dal bisogno di prendere decisioni difficili sull’allocazione delle risorse.
Le difficoltà del rapporto tra consulenza e PMI
La consulenza, da sempre, incontra maggiori difficoltà nel rapportarsi con le PMI, ma si sono aggiunte nuove criticità, che riguardano soprattutto le imprese in forte crescita o comunque le PMI che si trovano a gestire dei momenti di discontinuità strategica o familiare (passaggio generazionale) con una frequenza ed una intensità a cui non erano abituate.
La soluzione, probabilmente sia per le imprese che per i loro consulenti, è nella crescita dimensionale.
È palese l’incapacità dei consulenti nel sollecitare gli imprenditori “assopiti”, quelli che si accontentano e non vogliono crescere più. Come attenuante forse possiamo dire che i consulenti in questo caso svolgono una funzione di supplenza, che è un compito che spetterebbe più al sistema Paese, ad una sana politica economica (o ad una sana assenza di politica economica come quella attuale).
La mancanza di concorrenza in molti settori e anni di generosa erogazione di credito a basso tasso di interesse (che ha consentito di perdonare molti errori imprenditoriali) rappresentano un potente disincentivo al cambiamento.
Altro momento in cui si vede una forte criticità è nel rapporto con le PMI. Queste piccole e medie imprese sono alla ricerca di una consulenza diversa, più specializzata, più veloce, capace anche di accompagnarle nella scelta del progetto di consulenza stesso. Molto spesso uno dei problemi è che l’imprenditore stesso ha difficoltà a sapere di che cosa ha bisogno.
E su questo la consulenza deve riflettere, facendosene carico, lavorando ad un nuovo approccio.
Le difficoltà del rapporto fra consulenza e PMI, è dovuto a fattori limitanti, alcuni storici e altri recenti:
- il linguaggio e l’approccio diverso tra le due culture: consulente e imprenditore;
- la scarsa propensione all’ascolto da parte di entrambi;
- l’attenzione dell’imprenditore ai risultati di breve periodo;
- la scarsa disponibilità di budget per la formazione e la consulenza;
- il metodo manageriale interessa ancora poco alle PMI (ancora oggi poche PMI hanno un piano formalizzato di marketing, praticano knowledge management e richiedono servizi di risk management o in grado di misurare i risultati); peraltro, hanno bloccato gli investimenti in intangibles a favore della ricerca di sopravvivenza;
- la disponibilità di ICT gestionali (viste come soluzioni miracolistiche) oggi limitano in molte PMI le opportunità classiche (analisi organizzative, implementazione del controllo di gestione, diffusione dei KPI), salvo tutto quello che permette di sapere procacciare finanziamenti bancari;
- l’arrivo di imprenditori junior e manager giovani che hanno portato alcune sensibilità e competenze prima inesistenti, ma che hanno spesso prosopopea, poca autonomia decisionale e modesta capacità di fare benchmarking (l’esperienza non si inventa);
- l’offerta enorme di fonti informative (attraverso internet);
- la diffusione di una concorrenza “sleale” delle associazioni imprenditoriali, delle università e degli enti (soprattutto nella formazione);
- l’ibridazione di competenze da altre professioni limitrofe all’azienda che erode spazi ai consulenti che non fanno rete;
- l’arrivo di molti ex manager “a spasso”, che si offrono quali temporary (anche a prezzi bassi);
- qualche difetto dei consulenti (giovani e vecchi), ossia scarsa propensione del consulente ad entrare in azienda e “sporcarsi le mani di grasso”.
Reinventare la consulenza
Il settore della consulenza è fluido per definizione e questa è proprio una delle sue prerogative più affascinanti. Le aziende italiane devono diventare un gruppo numeroso di aziende solide, innovative e internazionali. La quantità di imprenditori in questa fase del loro sviluppo è elevatissima, così come è fortissimo il loro bisogno di cultura manageriale, di esperienza e di competenza di settori e di mercati. Hanno bisogno di consulenti esperti oppure con una fama (brand) in grado di garantire risultati coerenti con le eccellenze di cui parliamo. Allo stesso modo è grande il bisogno delle aziende italiane di affidare a risorse esterne a costo variabile tutte le attività straordinarie.
Per fare acquisizioni, studiare mercati o riorganizzare funzioni, è molto efficiente rivolgersi all’esterno per rendere variabile un costo che non avrebbe senso sostenere in continuo e, allo stesso tempo, avere le risorse dedicate ai progetti più aggiornate e competenti di quanto non sarebbero quelle dell’azienda. Dunque, siamo di fronte a una domanda crescente, ma che avrà, anche, caratteristiche diverse da quelle odierne. La sfida per il commercialista nella veste di consulente è di sapere innovare e rivedere il modello di business più velocemente e con maggiore flessibilità.
Per quanto riguarda i filoni specifici della consulenza di maggiore importanza, ne vanno segnalati almeno tre.
Il primo è quello delle ristrutturazioni, perché molti clienti hanno bisogno di recuperare efficienza e c’è un forte impegno in questo senso.
Il secondo, evidenziato un po’ da tutti, è quello della internazionalizzazione. Le competenze strategiche e tecniche di cui le nostre imprese hanno bisogno sono di capire che non si parte alla conquista dei mercati internazionali per “irrobustire” il proprio business, ma lo si fa soltanto quando si è forti di una solidità economica e finanziaria che permette di affrontare preparati le continue fonti di incertezza. Indispensabile inoltre un’approfondita conoscenza delle specificità locali per una valutazione appropriata dei propri investimenti, per la ricerca delle tante fonti di finanziamento, per la scelta dello strumento contrattuale internazionale adeguato alle operazioni che ci stiamo prefiggendo, fino alla corretta dimensione fiscale del nostro processo di internazionalizzazione.
Sono molteplici le esigenze di consulenza manageriale di cui le imprese sono portatrici:
- advisory e tutoring su tematiche legate ai processi interni (analisi patrimoniale ed economico-finanziaria, valutazione dell’organizzazione aziendale, dei flussi interni di comunicazione, delle strategie commerciali);
- servizi di primo orientamento per individuare i mercati a più alto potenziale e impostare le strategie di ingresso più opportune;
- assistenza per identificare interlocutori esteri (controparti commerciali, fornitori, ecc.);
- consulenza tecnica specializzata (contrattualistica, fiscalità, dogane, trasporti e pagamenti internazionali);
- financial advisory per l’internazionalizzazione.
C’è poi un terzo filone, meno legato ad aspetti di alta strategia, ma più alla gestione manageriale effettiva, quotidiana, che sta emergendo come di primaria importanza per le imprese: quello delle decisioni, della capacità di prendere quelle giuste nei tempi necessari, dove la rapidità di analisi ed esecuzione è decisiva.
Nello specifico dei servizi richiesti dai clienti c’è una maggiore integrazione di processi e tecnologie, come, ad esempio, sistemi di talent management, che comprendano il potenziale e la performance delle persone e forniscano analitycs per migliorare la capacità previsionale.
Ossia, attivare risorse competenti nel momento opportuno con la massima flessibilità, ma anche un fondamentale fattore di liquidità nel mercato del talento organizzativo, lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla formazione, all’apprendistato, alla maturità e alla mobilità.
La consulenza direzionale (magari effettuata attraverso l’evoluzione del commercialista), insomma, assicura grande mobilità professionale ed elevata contaminazione di competenze tra settori. Ciò è vero se si associa alla consulenza direzionale anche un elevato investimento in “knowledgeintangibles”, la cui misura può essere stimata tramite la quota di capitale investito in ICT.
Ma, per aumentare la produttività di capitale e lavoro, la consulenza non si può limitare al “problem solving”, al contrario, deve sapere fare “problem setting”. Il ricorso alla consulenza direzionale e strategica è infatti giustificato soprattutto dalle discontinuità spaziali e temporali di un’organizzazione, ma vive di un fondamentale conflitto di interessi; per potere assicurare l’assegnazione del prossimo progetto, il consulente deve incorporare nel proprio lavoro le premesse per un possibile incarico successivo.
La consulenza deve quindi uscire dal problem solving operativo, e affrontare temi “alti”, come quelli dell’assetto organizzativo delle imprese e delle istituzioni, rendendolo sempre più flessibile, specializzato e interdipendente. Così facendo, aumenterà la produttività totale.
La strategia
L’effetto di una maggiore spinta della competitività ha portato la consulenza verso una maggiore specializzazione, ma anche a riflettere sulla crucialità dell’innovazione, della reputazione, del brand, delle competenze umane e organizzative. Considerazioni, queste, che implicano una certa capacità di investimento e impiego di risorse finanziarie che spesso i professionisti non hanno. Mettiamoci in aggiunta la net company e l’avvento delle nuove tecnologie, che hanno messo i clienti in condizione di disporre di dati e informazioni in grandi quantità e per giunta reperibili con grande facilità. E, sempre a proposito del cliente, consideriamo infine la sua evoluzione e il suo tasso di crescita culturale, per cui molte delle discipline che facevano parte dell’offering consulenziale sono oggi diventate funzioni di management che il cliente non compra più.
La crisi economica che stiamo attraversando porta piuttosto alla luce i risvolti di un settore le cui caratteristiche costituiscono un fattore di rischio in sé.
In questo scenario, il fatto certo è che oggi occorre guardare al futuro con una visione e una strategia. La crescita dimensionale deve essere l’obiettivo di tutti i consulenti (possibilmente in società di consulenza), ma questo risultato è strettamente connesso alla capacità di innovazione ed organizzazione.
Capacità di ottenere risultati efficaci
Il principale mutamento nella consulenza si è registrato nel modello solution shop. Il mercato necessita di contributi meno di tipo metodologico e chiede di contare su consulenti capaci di accoppiare all’expertise anche l’experience specifica.
La conseguenza si basa sulla necessità di offrire servizi tagliati sulle esigenze dell’industry di riferimento del cliente e di fare crescere le risorse con focalizzazione sulle loro specificità, abbandonando gli approcci e il posizionamento da “tuttologi”.
Un secondo aspetto di grande rilevanza è l’esigenza mostrata dal mercato di contare su partner capaci di realizzare i cambiamenti proposti e accompagnare il processo attuativo e non solo di progettarne la concezione. Conseguenza è sviluppare un’offerta meno focalizzata sul “cosa fare” e più focalizzata sul valore aggiunto del “come farlo”.
Altro aspetto di grande rilevanza è la necessità di offrire competenze ed esperienze sufficienti per assistere dei clienti sempre più interessati a processi di globalizzazione, di fatto coinvolti da esigenze e culture internazionali molto più complesse del passato.
Una risposta efficace a queste nuove caratteristiche del mercato è necessaria, ma non sufficiente. Se il pre-requisito per la crescita e lo sviluppo del consulente è uno sviluppo organizzativo in società e una disponibilità di risorse capaci di offrire servizi di alta qualità, la “conditio sine qua non” del successo è rappresentata dalla capacità di ottenere risultati efficaci con strutture di costi molto efficienti e quindi con prezzi per il cliente molto contenuti.
Infatti, la concorrenza accentuata nel settore, frutto di una crescita esponenziale dell’offerta negli ultimi due decenni, ha prodotto, in un periodo di crisi, una sovracapacità di addetti e una “battaglia dei prezzi” in un settore che, per definizione, dovrebbe esserne esente, essendo la transazione basata sulla qualità e sul servizio.
Dalla decostruzione al rilancio
La consulenza che finora ha offerto esclusivamente i prodotti di tipo “problem solving” è una consulenza, trasformata dall’innovazione dirompente, che difficilmente può offrire crescita e redditività.
I servizi che generano crescita e redditività sono l’offerta di servizi di supporto alla realizzazione di cambiamenti strategici, come il supporto a fusioni grandi e complesse o il supporto alla trasformazione del proprio portafoglio di business, assetto organizzativo, operativo, tecnologico. Ossia, interventi che inglobano molti dei tradizionali prodotti di “problem solving”, ma combinati con competenze generate e perfezionate da una curva di esperienza maturata sul campo.
Per i clienti, alla ricerca di risultati tangibili, significativi e sostenibili, questo tipo di servizi sono molto più attrattivi dei servizi di “problem solving” tradizionali, mentre, per i consulenti in grado di perseguire questa direzione, questa gamma di servizi offre un futuro non meno appassionante di quanto sia stato il passato. Certo, si tratta di una strada non accessibile a tutti (per le dimensioni e soprattutto la diversificazione funzionale, settoriale e geografica che richiede) e soprattutto di grandissima complessità.
Le implicazioni per il settore
Le implicazioni per il settore della consulenza direzionale e strategica potrebbero avere quattro filoni:
- nel corso del tempo e ai livelli più alti si verificherà un consolidamento(un assottigliamento dei ranghi) che rafforzerà alcuni professionisti e società e ne spazzerà via altri.
I vincenti si distingueranno dai perdenti grazie alla loro capacità di comprendere il tipo di pressione (in evoluzione costante) vissuta dai loro clienti e di contribuire con chiarezza e abilità al soddisfacimento delle nuove richieste che arriveranno. Ci sarà sempre un nucleo di lavoro di fondo che sopravviverà e che richiederà soluzioni personalizzate a problemi complessi e interdipendenti che attraverseranno settori diversi. Per i clienti che si troveranno ad affrontare questioni strategiche che mettono a serio repentaglio il futuro dell’azienda, avrà senso pagare parcelle salate per consulenti (anche commercialisti) riconosciuti possessori di pacchetti di soluzioni. Quando, però, gli innovatori scaleranno il mercato armati di modelli di business più snelli e nuove tecnologie, la gamma di problemi per cui ci sarà bisogno di soluzioni strategiche si ridurrà. Per rimanere all’avanguardia di questa ondata livellante, i consulenti e le società di consulenza avranno bisogno di risorse umane, di brand, tecnologiche e finanziarie da usare per la soluzione di problemi nuovi e sempre più complessi e lo sviluppo di nuovi strumenti di proprietà intellettuale; - i leader di un settore e gli osservatori saranno tentati di seguire la battaglia per le quote di mercato osservando i clienti più grandi e ambiti, ma la storia vera comincerà con i clienti più piccoli, sia quelli che sono già serviti da consulenti di direzione e strategici esistenti, che quelli che saranno nuovi del settore.
Pertanto, mentre, l’apparato centrale della consulenza si concentra sugli incarichi di clienti sempre più grandi, i clienti piccoli vengono trascurati; - i confini tradizionali tra i servizi professionali si stanno facendo più sfumati e il panorama che si va delineando presenterà nuove opportunità.
Pertanto, i professionisti e le prime società che offriranno soluzioni interdipendenti a tutti quei problemi che possono sorgere in queste intersezioni conquisteranno la fetta più importante del valore; - l’invasione continua della tecnologia e degli strumenti di analisi(big data) è una certezza nell’ambito della consulenza, come lo è stata in molti altri settori.
Come abbiamo sottolineato, siamo ancora all’inizio della storia del cambiamento dirompente della consulenza; dopotutto, questa trasformazione è per sua natura un processo, non un evento, e non porterà necessariamente con sé una devastazione totale.